Molti ammalati di COVID-19, nonostante siano guariti immunologicamente, continuano per mesi a manifestare sintomi aspecifici. Considerata ormai come una sindrome post COVID, in pochi mesi, anche grazie alla mobilitazione via social, è stata descritta con più di cento sintomi diversi. Alcuni di questi, però, iniziano a essere considerati veramente distintivi di questa condizione, e cioè: il fiato corto, l’affaticamento dopo il minimo sforzo, la depressione e la difficoltà a concentrarsi, o nebbia mentale.

In genere iniziano a comparire qualche giorno dopo la scomparsa dei sintomi classici, e non suscitano particolare allarme perché sentirsi spossati dopo una malattia che ha costretto a letto, fatto salire la febbre e causato tosse, raffreddore, e spesso manifestazioni gastrointestinali è del tutto normale. Ma poi si scopre che sono particolarmente tenaci, che sembrano non volersene andare, e si capisce che si sta scivolando gradualmente nella cosiddetta Long COVID. Una condizione invalidante, perché capace di condizionare gravemente la qualità di vita di persone che prima della malattia stavano benissimo, fino a impedire loro di lavorare o di svolgere compiti del tutto normali.

Un’indagine condotta in Italia da ricercatori della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma (Rif.) su un campione di 143 pazienti, ha concluso, come dice il dr. Francesco Landi, coautore dello studio, che accanto a pazienti che avevano bisogno di essere seguiti a seguito di intubazione o per embolie o anche ictus “…molti altri pazienti – che non avevano avuto forme molto gravi – avevano bisogni complessi e diversi. Per esempio, quasi tutti avevano perso peso, a volte fino al 20% di quello iniziale, e non era solo a causa del ricovero. Molti, poi, avevano bisogno di un sostegno psicologico, perché avevano vissuto un trauma profondo. E moltissimi riferivano una spossatezza che andava al di là di quella che ci si aspetta dopo un ricovero: per il 44% di loro la qualità di vita era nettamente peggiorata” (Rif.).

Una terapia di sostegno con integratori e pochi farmaci e soprattutto un sostegno anche psicologico aiuterà sicuramente ma, come ha fatto notare il dr. Landi, visti i numeri dei pazienti colpiti, avremo a che fare con questo problema per anni.

Una casistica molto più ampia, di oltre 700 malati, raccolta dai medici dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, e pubblicata in gennaio, su Epidemiology & Infection (Rif.), ha sostanzialmente confermato quanto osservato al Gemelli, e lo stesso è accaduto con un’altra, raccolta dai medici dell’Ospedale Maggiore di Novara (oltre 200 pazienti ) (Rif.) e con altri studi nel frattempo pubblicati da centri covid di diversi paesi.

Long COVID cosa accade a molte persone dopo essere guarite dall infezioneIn generale, la Long COVID sembra colpire di più persone che non hanno avuto forme troppo gravi della malattia, quasi sempre diventate negative al tampone e più frequentemente donne che uomini. Le cause di questa sindrome sono da ricercarsi nella capacità del virus di creare un’infiammazione costante e anche nel meccanismo dell’autoimmunità e cioè di quella condizione in cui il sistema immunitario attacca il nostro stesso corpo causando malattie tipo il lupus eritematoso, l’artrite reumatoide o la miastenia ecc…

Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Brain, Behavior and Immunity e coordinato dal prof. Francesco Benedetti (Rif.), psichiatra e Group leader dell’Unità di ricerca in Psichiatria e psicobiologia clinica dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, ha descritto e riportato per la prima volta al mondo le conseguenze di Covid-19 a livello psichiatrico, con patologie quali disturbo post traumatico da stress, ansia, insonnia e depressione. “È apparso chiaro da subito che l’infiammazione causata dalla malattia potesse avere ripercussioni anche a livello psichiatrico. Infatti, gli stati infiammatori – anche in conseguenza a infezioni virali – possono costituire dei fattori di rischio per diverse patologie, in particolare la depressione” afferma il prof. Benedetti.
S.S.