Simbolicamente, siamo capaci di rispecchiarci in tutto quello che l’immaginazione ci propone, senza esito convincente, oltre ad infilare o a vederci attribuire maschere varie, più o meno congeniali, che accettiamo volentieri o no, di cui siamo consci e non sempre, che talvolta ci restano addosso come un marchio sul bestiame, ma tutto quanto non supera una visione superficiale e spesso solo caricaturale.

Comunque, l’apparenza, in mancanza di approfondimento, del resto raramente possibile, predomina a qualunque livello, ed è ben difficile in queste condizioni, abbozzare un riconoscimento e sviluppare un’empatia, iniziare un dialogo, che si allontanino da riferimenti culturali scontati e da identità sociali che prediligano la funzione e le circostanze, a scapito dell’individuo, notevolmente più complesso, e detentore di una storia che imprescindibilmente, non solo gli è propria, ma è lui nel senso che lo compone e lo ha foggiato, è stata e prosegue, racchiuse e racchiude tuttora il suo divenire.

L’approccio comune, che consiste nel giudicare il carattere o la personalità altrui, (l’approssimazione dei termini adoperati dimostra del resto la superficialità dell’apprezzamento), presuppone che l’individuo possegga peculiarità volute o perlomeno relative direttamente alla responsabilità personale, che hanno determinato la propria storia, (d’altro canto, affermare il contrario attinge dallo stesso ragionamento puramente lineare), opinione contestabile per il semplicismo.

Ripetiamolo, per fortuna, l’umano risulta profondamente più complesso, il che significa anche contraddittorio e combattuto, che non gli abbozzi quasi uniformi proposti per motivi sociali o per facilità, più costruzione che creatura, ed è soltanto allora che si entra nel campo della volontà e della responsabilità. Vale d’altronde sottolineare che in diritto, per corroborare tali opinioni, non esiste la nozione di responsabilità collettiva, posizione spesso riproposta dagli storici, la cui analisi si concentra su un personaggio di spicco (in bene o male), i risultati di un regime, tuttavia tutt’altro che personale, sia pure basato sul culto della personalità.

Tuttavia, possiamo constatare quanto siano distinti le definizioni dell’uomo, in qualunque disciplina e i comportamenti che adoperiamo, perlopiù senza nessuna coscienza di farlo. È del resto particolarmente interessante sottolineare che nel rapporto con la natura, l’umano sia convinto di poter rispecchiarsi in qualunque animale a seconda delle tradizioni religiose e filosofiche delle varie popolazioni del globo, fino (perlopiù attraverso l’assimilazione della carne), ad acquistarne le qualità perché se ne ciba. In un certo senso, proprio per quel modo di nutrirsi, sia ancestrale o odierno, (anche se oggi, si è sempre meno consci degli alimenti ingurgitati), l’uomo è il re degli animali, quello che decide della sorte e dell’utilità delle altre specie, ma probabilmente innanzitutto, di dimostrare a se stesso il predominio su tutti, in altre parole, di elevarsi al di sopra della natura o perlomeno, di far parte dei grandi predatori, dunque di una categoria superiore.

Comunque, questa affermazione denota anch’essa quanto l’umano, non riesca a confrontarsi a nulla che gli concederebbe un riconoscimento, e si senta al tempo stesso solo, tranne rivolgersi a Dio, ed onnipotente di fronte alla natura, a meno che, tempesta, terremoto o eruzione, sia la natura a ricordargli che le prodezze tecnologiche non risparmiano dalle catastrofi, caso in cui prende allora e perlopiù, a invocare la fatalità e chiedere l’aiuto dei cieli, altra illustrazione della difficoltà nel situarsi e del continuo andirivieni tra ragione e credenze, il quale segna sicuramente drasticamente i limiti della persona, della comunità addirittura, poiché nessuno sa come mai le strutture colpite dal ciclone o dallo tsunami siano sorte da terra, proprio in quel posto e non altrove, e non siano resistite alla distruzione, quasi in più della furia degli elementi, esistesse sopra gli uomini, una civiltà delle tecniche autonoma, un esercito di macchinari e motori, persino di onde, raggi e particelle, in grado di imporre se non una volontà misteriosa, un’espansione inarrestabile quanto indipendente.

La fantascienza dipinge da alcuni decenni ormai, i tormenti di una società del “tutto tecnologico”, racconti la cui azione si svolge spesso “altrove  nell’universo” e in qualche “epoca futura”.  Viviamo noi con sempre più difficoltà nel definire luogo e tempo; viviamo in qualche modo, in una
realtà di fantascienza, utopia e ucronia, né luogo né tempo, oppure sono qualunque, uniformi, solo l’istante: “Io, sono!“, senza trascendenza.

M.B.