Se nessuno contesta quanto l’alimentazione sia fondamentale e determinante nella crescita dell’individuo, dalla giovane infanzia fino alla vecchiaia più avanzata, si rimane notevolmente più discreti per non dire muti trattandosi del nutrimento non tanto spirituale come una volta veniva decantato, quanto intellettuale, ammesso o meno che racchiuda il primo.

Se gli studi, sin dalla più tenera età, vengono ritenuti sufficienti ed efficaci nei paesi di tradizione accademica, la cultura degli ultimi decenni, tra intenzione di divertire e predominio americano, ha certamente impoverito (anche per ragioni economiche, con tagli importanti a riguardo), e parzialmente spogliato, il paesaggio culturale ed artistico dei paesi europei tradizionalmente portati alla creazione.
Altri motivi, probabilmente difficili da analizzare, complessi quanto oscuri, hanno partecipato a questo lento spegnimento dell’estro che ieri ancora li distingueva. Storicamente, i totalitarismi, con gli artisti del regime, hanno soffocato ogni espressione, quella artistica come e più delle altre, anche se l’Italia per esempio dimostrò un notevole risveglio nel La cultura odierna è solo polveredopoguerra, lo slancio si spense, oltre al calo delle entrate in cinema, con gli inizi della grande ristrutturazione, chiamiamola così, degli anni ottanta, periodo di lettura piuttosto complicato e oscuro.

Allora, la globalizzazione prese, quasi inosservata, un moto notevolmente accelerato e aggressivo, sancito da politiche estremamente rigide, dall’intervento sovietico in Afghanistan (27 dicembre 1979), poco dopo l’elezione di M. Thatcher a Downing Street e poco prima di quella di R. Reagan alla Casa bianca, e un po’ più di un anno e mezzo dopo l’assassinio di Aldo Moro, eventi sconnessi, ma certamente molto significativi di un’epoca in cui i conservatori (in Occidente come in URSS), ebbero il vento in poppa.

Allorché l’Iran vide gli ayatollah,  la morte di Tito annunciava le guerre fratricidi in Jugoslavia e la strage alla stazione di Bologna depistava le indagini, altrettanti eventi sconnessi, che tuttavia, segnarono la irresistibile ascesa di un’ideologia contraddittoria, (senza dimenticare l’ingresso dei “personal computer” in casa, fenomeno ancora molto limitato, ma dal futuro madornale). Nel maggio ’68 francese, il drammaturgo Ionesco si rivolse agli studenti dicendo loro: “Domani, sarete tutti notai!”; sbagliava.

Diventarono consumatori prima di essere cittadini, prima di essere umani, la svolta che ci trascinava verso l’odierno mondo, in cui miliardari, finanzieri, giganti dell’informatica e politici insipidi dalla maschera di gestori degli affari correnti, regnano appunto sul teatro dell’assurdo, in cui, tutti i personaggi, sebbene portatori di maschere ereditate per tratti somatici, in qualche modo rielaborati secondo emozioni espresse più o meno regolarmente ed eventualmente fino a smorfie ridondanti, (e l’abbiamo già evocato, in cerca della propria identità, che plasmiamo senza mai riuscire pienamente a rispecchiare il nostro intimo più vero), ma di “coprifaccia” per così dire, che nascondano emozioni e sentimenti, magari pensieri, in modo tale da non influire sull’unico fine ritenuto a questo punto socialmente accettabile: “L’abito fa il monaco”.

“Chi sei?” equivale allora a “Cosa vali sul mercato?“, a qualunque livello, persino nelle relazioni intime, in funzioni di criteri vari, largamente magnificate dai media, dal momento che rispecchia un consumo, un valore contabile.
M.B.